E’ un caso unico nel mondo e lo definirei un malanno diffuso tra la popolazione italiana.
Si tratta della sindrome da ‘autoconservazione corporativa’.
Questo è il male che sta flagellando il nostro paese e forse in molti non se ne stanno accorgendo.
Siamo vittime e nello stesso tempo malati cronici, di un male a cui ci rifiutiamo di porre rimedio negandoci cure appropriate.
I presupposti che possono definirci malati cronici, sono relativi al nostro essere sottoposti al vivere in un sistema, dove iniquità e corruzione proliferano e da cui non facciamo nulla per cambiare le cose, spesso ci adattiamo allo status.
Ci lamentiamo con l’amico, ci arrabbiamo quando siamo dal barbiere, alziamo la voce magari in pubblico al bar per dimostrare il nostro dissenso, ci alteriamo davanti alla televisione alla presenza dei familiari quando sentiamo parlare di corruzione, tangenti, denaro pubblico dissolto dalla politica e dalle istituzioni, decurtazione di risorse dalla ricerca o dalla università.
Siamo bravissimi oratori, sappiamo convincere chiunque nei nostri discorsi.
Siamo tenaci ed oltranzisti con le parole, ma quando si tratta di passare ai fatti ci tiriamo indietro.
Siamo incapaci di mettere in pratica quanto riteniamo giusto.
Non sappiamo affezionarci al bene della collettività e quando qualcuno ne abusa, lo deturpa, o addirittura se ne appropria, esterniamo qualche improperio ma nulla più.
Inoltre è importante, anzi direi fondamentale che queste faccende non tocchino il nostro ‘privato’.
Possono rovesciare fuori dal nostro giardino abusivamente del materiale di risulta o dei rifiuti, possono costruire a 20mt da casa nostra una costruzione abusiva, possono investire il figlio di un immigrato davanti al nostro cancello, ma l’importante è che ciò avvenga fuori e non danneggi la nostra proprietà, la nostra famiglia, e non ci crei troppi problemi.
A dimostrazione di ciò vi porto un esempio che può sembrare estremizzato ma è il fondamento del concetto che vorrei esprimere.
Quando avviene un incidente dove una persona perde la vita (sul lavoro, per strada, durante un intervento chirurgico) dopo qualche tempo la famiglia del deceduto in molti casi decide di fondare un’associazione a nome del familiare deceduto a difesa dei diritti del cittadino, perché quanto accaduto venga combattuto e possa non ripetersi, e questo è moralmente corretto ed auspicabile.
Occorre l’evento catastrofico per scuoterci e farci cambiare rotta, prendere coraggio e farci portavoce per la comunità.
Purtroppo questo è disarmante che avvenga solo in questi casi, in quanto non è indispensabile aspettare che qualcuno ci lasci la vita per avviare un movimento per la giustizia, per farci portavoce di una pubblica denuncia, per il riconoscimento dei diritti di qualche categoria, comunque creare un movimento per la salvaguardia della nostra comunità.
Se qualcosa nella nostra società non va, se viviamo un sopruso od una ingiustizia, se assistiamo ad un politico che si comporta nella negazione dell’etica o del diritto, o assistiamo ad un cittadino che commette un delitto verso un altro cittadino è nostro dovere etico combatterlo, ciò è dovuto a noi ed alla collettività e qualora sia necessario, occorre farne pubblica denuncia alle istituzioni competenti ed alla comunità dell’informazione.
Abbandonare la sponda della denuncia è come lasciarsi affogare e cedere ai flutti della corrente del fiume della iniquità e del non diritto, facendo morire una parte della democrazia che è alimento quotidiamo della comunità. Questi atteggiamenti sono collimanti con la civiltà dell’omertà e della rassegnazione caratteristica dei regimi autoritari e totalitari.
Purtroppo questo discorso in molte realtà difficili (realtà governate dal potere mafioso/camorristico) ritrova quotidianamente riscontro e percorrere la via della denuncia come fatto da molti onorevoli cittadini può portare a ripercussioni pesantissime che spesso fanno propendere per un atteggiamento omertoso e rinunciatario.
Se questo ultimo caso è chiaramente comprensibile ma forse non giustificabile, in tutte le altre situazioni il cittadino italiano spesso pur sentendosi parte lesa non si fa’ padrone di una causa che possa dar vantaggio alla collettività o alla comunità di appartenenza oltre che a se stesso.
A soffiar vento sulla vela dell’indifferenza e dell’omertà, c’è da dire che troppo spesso ci si trova soli a portare avanti lotte o denunce pubbliche, ed in alcuni casi non si ha il supporto della giustizia o del riconoscimento popolare pur di fronte a dati tangibili, vedasi l’estremo caso del prof. Parmaliana.
Da qui l’eterno dubbio del denunciare con il rischio di rimanere incastrato nella macchina della giustizia o lasciare tutto ingiudicato e nell’oblio per il puro senso di ‘autoconservazione’.
Allora lascio ad ognuno sviluppare nel proprio vissuto questo dibattito che nel nostro paese da’ poco valore agli interessi ed ai valori caratteristici della collettività che con i continui attacchi a cui viene giornalmente sottoposta, sta perdendo consistenza costantemente.
Riflettiamoci non è mai tardi per cambiare!